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volto il fiero proponimento in più regulato consiglio,
presi per partito di abandonare Napoli e le paterne case,
credendo forse di lasciare amore e i pensieri inseme con
Letteratura italiana Einaudi 51
Iacobo Sannazaro - Arcadia
quelle. 6 Ma, lasso, che molto altrimente ch io non avvi-
sava mi avvenne; però che se allora, veggendo e parlan-
do sovente a colei che io tanto amo, mi riputava infelice,
sol pensando che la cagione del mio penare a lei non era
nota; ora mi posso giustamente sovra ogni altro chiama-
re infelicissimo, trovandomi per tanta distanza di paese
assente da lei, e forse senza speranza di rivederla giamai,
né di udirne novella che per me salutifera sia. Massima-
mente ricordandomi in questa fervida adolescenzia de
piaceri de la deliciosa patria tra queste solitudini di Ar-
cadia, ove, con vostra pace il dirò, non che i gioveni ne
le nobili città nudriti, ma appena mi si lascia credere che
le selvatiche bestie vi possano con diletto dimorare. E se
a me non fusse altra tribulazione che la ansietà de la
mente, la quale me continuamente tene suspeso a diver-
se cose, per lo fervente desio ch io ho di rivederla, non
potendolami né notte né giorno quale stia fatta riforma-
re ne la memoria, si sarebbe ella grandissima. 7 Io non
veggio né monte né selva alcuna, che tuttavia non mi
persuada di doverlavi ritrovare, quantunque a pensarlo
mi paia impossibile. Niuna fiera né ucello né ramo vi
sento movere, ch io non mi gire paventoso per mirare se
fusse dessa in queste parti venuta ad intendere la misera
vita ch io sostegno per lei. Similmente niuna altra cosa
vedere vi posso, che prima non mi sia cagione di rimem-
brarmi con più fervore e sollicitudine di lei. E mi pare
che le concave grotte, i fonti, le valli, i monti, con tutte
le selve la chiamino, e gli alti arbusti risoneno sempre il
nome di lei. Tra i quali alcuna volta trovandomi io, e mi-
rando i fronzuti olmi circondati da le pampinose viti, mi
corre amaramente ne l animo con angoscia incomporta-
bile, quanto sia lo stato mio difforme da quello degli in-
sensati alberi, i quali, da le care viti amati, dimorano
continuamente con quelle in graziosi abracciari; et io
per tanto spazio di cielo, per tanta longinquità di terra,
per tanti seni di mare dal mio desio dilungato, in conti-
Letteratura italiana Einaudi 52
Iacobo Sannazaro - Arcadia
nuo dolore e lacrime mi consumo. 8 Oh quante volte e
mi ricorda che vedendo per li soli boschi gli affettuosi
colombi con suave mormorio basciarsi, e poi andare de-
siderosi cercando lo amato nido, quasi da invidia vinto
ne piansi, cotali parole dicendo: «Oh felici voi, ai quali
senza suspetto alcuno di gelosia è concesso dormire e
veghiare con secura pace! Lungo sia il vostro diletto,
lunghi siano i vostri amori; acciò che io solo di dolore
spettaculo possa a viventi rimanere!». 9 Elli interviene
ancora spesse fiate che guardando io, sì come per usanza
ho preso in queste vostre selve, i vagabundi armenti,
veggio tra i fertili campi alcun toro magrissimo appena
con le deboli ossa sostinere la secca pelle, il quale vera-
mente senza fatica e dolore inestimabile non posso mira-
re, pensando un medesmo amore essere a me et a lui ca-
gione di penosa vita. Oltra a queste cose mi soviene che
fuggendo tal ora io dal consorzio de pastori, per poter
meglio ne le solitudini pensare a miei mali, ho veduto la
inamorata vaccarella andare sola per le alte selve mug-
gendo e cercando il giovene giovenco, e poi stanca git-
tarsi a la riva di alcun fiume, dimenticata di pascere e di
dar luogo a le tenebre de la oscura notte; la qual cosa
quanto sia a me che simile vita sostegno noiosa a riguar-
dare, colui solamente sel può pensare, che lo ha pruova-
to o pruova. Elli mi viene una tristezza di mente incura-
bile, con una compassione grandissima di me stesso,
mossa da le intime medolle, la quale non mi lascia pelo
veruno ne la persona, che non mi si arricci; e per le raf-
freddate estremità mi si move un sudore angoscioso,
con un palpitare di core sì forte, che veramente s io nol
desiderasse, temerei che la dolente anima se ne volesse
di fuori uscire. 10 Ma che più mi prolungo io in racontar
quello che a ciascuno può essere manifesto? Io non mi
sento giamai da alcun di voi nominare «Sannazaro»,
quantunque cognome a miei predecessori onorevole
stato sia, che, ricordandomi da lei essere stato per adie-
Letteratura italiana Einaudi 53
Iacobo Sannazaro - Arcadia
tro chiamato «Sincero», non mi sia cagione di sospirare.
Né odo mai suono di sampogna alcuna, né voce di qua-
lunque pastore, che gli occhi miei non versino amare la-
crime; tornandomi a la memoria i lieti tempi, nei quali io
le mie rime e i versi allora fatti cantando, mi udia da lei
sommamente comendare. E per non andare ogni mia
pena puntalmente racontando, niuna cosa m aggrada,
nulla festa né gioco mi può non dico accrescere di leti-
zia, ma scemare de le miserie; a le quali io prego qualun-
que Idio esaudisce le voci de dolorosi, che o con presta
morte, o con prospero succedimento ponga fine.  11
Rispose allora Carino al mio lungo parlare: 12  Gravi
sono i tuoi dolori, Sincero mio, e veramente da non sen-
za compassione grandissima ascoltarsi; ma dimmi, se gli
Dii ne le braccia ti rechino de la desiata donna, quali fu-
ron quelle rime, che non molto tempo è ti udii cantare
ne la pura notte? de le quali se le parole non mi fusseno
uscite di mente, del modo mi ricorderei. Et io in guidar-
done ti donerò questa sampogna di sambuco, la quale io
con le mie mani colsi tra monti asprissimi e da le nostre
ville lontani, ove non credo che voce giamai pervenisse
di matutino gallo, che di suono privata l avesse; con la
quale spero che, se da li fati non ti è tolto, con più alto
stile canterai gli amori di Fauni e di Ninfe nel futuro. E
sì come insino qui i principii de la tua adolescenzia hai [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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